Io e il disturbo alimentare
Non sono mai stata magra.
Durante la mia adolescenza qualcosa dentro mi rodeva e l’unica cosa che riuscivo a fare per liberarmene era sbafarmi grandi barattoli di nutella in pochi minuti. La Ferrero dovrebbe farmi un monumento per questo. Ricordo quando andavo a comprarmela nel negozietto vicino a casa mia. In cucina lo aprivo e in preda a una potente forza a cui non potevo resistere, in pochi minuti lo svuotavo. Qualcosa mi impediva di fermarmi. Quel qualcosa guidava la mia mano, che, strumento del demone della nutella, immergeva il cucchiaio nella massa pastosa e marroncina, lo ritirava fuori bello pieno e me lo ficcava in bocca. Ripetevo il gesto ancora e ancora fino a quando le pareti in vetro erano tornate abbastanza pulite da vederci attraverso. Poi andavo in camera mia, il mio rifugio.
Non so descrivere cosa provavo in quei momenti, ma principalmente schifo per me stessa, misto a odio. Questo credo che caratterizzi il disturbo alimentare principalmente, un profondo odio per se stessi. Ero convinta, che, se per qualche motivo, fossi morta prematuramente per il mondo sarebbe stato meglio. Infatti fino a un certo punto della mia vita non ho fatto altro che mettermi in pericolo.
Mi è andata bene!
Come sia possibile che un genitore trasmetta queste sensazioni a un figlio, da adulta l’ho capito. Fondamentalmente soffre delle stesse convinzioni, che, inevitabilmente, trasmette ai discendenti. Il padre e la madre, nel bene e nel male, sono un modello per la propria prole.
Da questo non si scappa.
Ho cominciato a lavorare con i disturbi alimentari dopo un aggiornamento stupendo con la Dott. Beatrice Bauer. Ho lasciato le mie figlie piccole a casa con le nonne e sono tornata a scuola per una settimana. Da quel momento ho iniziato a prendere coscienza di cosa c’era dietro quei raptus violenti che, in gioventù, mi lasciavano a pezzi. Non ero più obesa perché avevo già risolto il sintomo da sola, ma la causa di quelle “fami” mostruose era ancora sconosciuta dentro di me. Dopo qualche mese, consigliata da mio marito, ho cominciato una psicoterapia.
Da quel momento ho cambiato modo di lavorare e ho smesso di parlare di grammi, di calorie e balle varie. Ho iniziato a farle ragionare, le persone. Sulle loro sensazioni, sui loro gusti, su quello che pensavano di se stesse. Ho capito che per poterle aiutare prima di tutto devono voler star bene, secondo devono aver fiducia nell’operatore. Il processo di guarigione è complesso, è un’interazione tra malato e operatore sanitario. La sua malattia è anche la tua malattia, il suo successo è anche un tuo successo.
Un giorno sono andata a sentire una conferenza sull’anoressia. Una dottoressa parlava della famiglia della paziente anoressica. Sono uscita pensando che era il ritratto della mia e mi sono domandata “ Perché non sono diventata anoressica?” La risposta era semplice, io non volevo manipolare nessuno, volevo solo che mi lasciassero libera di leggere quello che volevo, ascoltare la musica che volevo, vestirmi come volevo, pensare a modo mio.
E per questo me ne sono andata presto di casa.
Per certi versi anche nei bambini malnutriti c’è qualcosa di simile a un comportamento manipolatorio. La carenza di cibo si manifesta principalmente in due patologie il marasma e il kwashiorkor. Il marasma è la malattia che hanno gli orribili bambini scheletrici che vediamo nelle fotografie. Ecco quei bambini lì hanno più probabilità di sopravvivere perché la magrezza estrema spaventa la madre che li porta dal medico. Se lo trova nelle vicinanze. Sono bambini estremamente vitali che accettano e ricercano il cibo. Il kwashiorkor invece è caratterizzato da un gonfiore del viso che la mamma prende facilmente come sintomo di benessere e quindi questo è fottuto.
Nella mia esperienza lavorativa ho trovato che i disturbi alimentari più difficili da trattare sono l’anoressia e il vomito autoindotto. Nei soggetti anoressici c’è sempre una grande forza di volontà rivolta in modo deleterio verso se stessi. Dietro tutto questo ci sono famiglie più o meno difficili, che, nei casi più complicati, si accompagnano a un carattere particolarmente problematico. Ma, mentre, la giovane anoressica vuole manifestare il proprio disagio, nei soggetti con vomito autoindotto, questa tendenza autodistruttiva, spesso, resta nascosta e questo peggiora ulteriormente le cose.
Ogni tanto si sente dire che da queste patologie non si guarisce.
Io non credo sia vero.
Come in ogni malattia se c’è una cronicità è più difficile uscirne, ma non è impossibile. Ma l’individuo deve voler venirne fuori, deve voler guarire. Questo, per me, è fondamentale.
Le persone che combattono col mangiare da molto tempo, sia le anoressiche, le bulimiche che le obesità gravi, hanno intorno una prigione fatta di cibo. Dopo molto anni passati in casa a pensare a come “non mangiare” o a sentirsi in colpa dopo l’abbuffata o il vomito, la difficoltà più grande è proprio questa: ricostruire la propria vita. La prigione che il paziente ha intorno è orribile, ma è nota, conosciuta, senza imprevisti. In poche parole è un rifugio scomodo, ma sicuro. Il mondo fuori, dopo aver passato cinque anni o più pensando solo al mangiare, può essere spaventoso. Le pazienti devono essere aiutate a riprendere una vita normale, andare al cinema, avere degli amici, un lavoro, ricostruire una relazione col partner.
Trattare il sovrappeso o l’obesità, per la mia personale esperienza, è più facile, un po’ per le pressioni sociali che circondano questi soggetti e un po’ perché sono meno autolesionisti. Questo non vuol dire che i risultati siano semplici da ottenere. Semplicemente seguono più facilmente i consigli e le prescrizioni.
I disturbi della condotta alimentare sono la risultante di tanti fattori. Continuamente da ogni parte ci viene proposta una immagine femminile fuorviante e contradditoria. Ma soprattutto alla base di tutto c'è una bassissima autostima. La giovane adolescente si percepisce non accettata se brutta. Non riconosce a sè stessa nessuna pregio, nessuna qualità. Da qui il bisogno di essere considerata bella.
Alla fine tutte le pazienti devono cominciare a gestire lo stress che, quotidianamente, ci crea il mondo esterno, senza usare il mangiare. Questo implica vivere le proprie emozioni senza reprimerle e manifestarle in modo adeguato.
E’ una parola!
Uscire da questo circolo vizioso è difficile, ma non impossibile.
Ogni tanto con i pazienti mi “arrabbiavo” e li sgridavo per il loro bene. Quando succedeva ogni volta pensavo “Forse ho esagerato!” Ma la volta successiva tornavano e mi dicevano “Ha fatto bene a dirmi quelle cose.” Certe volte dovevo dire delle cose così ovvie alle persone e mi chiedevo “Ma possibile che debbano pagarmi per sentirsi dire che quando piove ci vuole l’ombrello?” (esempio banale). Poi mi rispondevo da sola, che, sembra impossibile, ma a loro non era venuto in mente. La verità è che purtroppo abbiamo creato uno strano mondo dove non siamo capaci di capire quando abbiamo fame e quando non l’abbiamo, quando abbiamo sete. Infatti adesso tutti girano con la bottiglietta d’acqua. Si gira con l’amuchina nella borsa perché non si sa mai… ma non c’è da stupirsi se pensiamo che, oggi, è virtuale anche il sesso per alcuni!
Mi piaceva moltissimo lavorare coi giovani, non so perché. Non so come mai mi piacciono i giovani e li trovo splendidi. Eppure non sopporto le persone che non vogliono invecchiare. Quando vedo la sofferenza in un giovane sto male. Sarò matta, ma nel conflitto generazionale mi viene istintivo parteggiare sempre per i figli.
Cosa vorrà dire?
Quando lavoravo con le famiglie delle adolescenti anoressiche le madri mi suscitavano sentimenti molto contrastanti. Prima mi facevano rabbia e pensavo “Povere figlie!” poi quando si mettevano a piangere mi mettevo al loro posto e pensavo “Cosa farei se mia figlia un giorno smettesse di mangiare?” e mi facevano pena.
Devo ringraziare tutti i miei pazienti, ma in particolare, quelle donne e le loro figlie perché grazie loro io sono diventata una persona migliore.
Con le mie figlie ho un rapporto normale. Correggo buono. Parlo, discuto, ci chiariamo le idee a vicenda. Mi dicono che sono testona e credo che abbiano ragione.