VIA BELLETTI, 10
Questo racconto è totalmente autobiografico. Il titolo è preso da una Via di Cesena e non so se ne esiste una anche a Bologna di vie Belletti. Giuseppe Belletti era mio nonno, di cui ho solo un ricordo sfuocato. Era uno storico e durante la seconda guerra mondiale ha nascosto per proteggerla dalla distruzione molta parte dei libri della biblioteca di Cesena.
In casa contava come il due di coppe a briscola quando comanda denari.
Intitolandogli il mio primo scritto compiuto ho voluto rendere omaggio alla sua memoria.
PROLOGO
Nevica. Anche in quest'angolo di Bologna fuori porta.
La neve cade leggera e senza rumore. La fabbrichetta all'angolo della strada con quel velo di neve sul tetto e sulle finestre è ancora più triste. Tutto quanto in questo quartiere è triste. Le strade e le case si somigliano tutte e c'è poco verde. E' tutto un po' sotto tono, qui. Tutto così normale. Questa è una viuzza come ce ne sono tante, grigia e strettina, dove i vicini si conoscono tutti e si spiano a vicenda da dietro le tendine ordinate. La periferia nuova, le macchine e le doppie corsie non sono lontane, eppure Via Belletti, che è una stradina chiusa che finisce con un muro grigio, sembra un altro mondo.
Fermo al dopoguerra.
L'unica nota di vita è la ferrovia Bologna-Firenze che taglia in diagonale tutta la zona.
Il numero 10 di questa strada qualsiasi è un palazzo qualsiasi, abitato da gente qualsiasi.
Tutto qualsiasi. Le entrate degli appartamenti del primo e del secondo piano hanno i loro zerbini perfetti, con a lato le piante d'appartamento, rigorosamente vere. Le mattonelle di graniglia grigie sono lucide di cera (orgoglio di oneste massaie che lavano, stirano e piegano anche gli stracci per la polvere).
II terzo piano è diverso.
Polvere da silicosi e ragnatele variamente distribuite un po' dappertutto. Il finestrotto delle scale è senza tende e ricoperto da numerosi strati di sporco dell'era neolitica. Non c'è la pianta d'appartamento rigorosamente vera e le mattonelle di graniglia sono senza cera. II pianerottolo è perennemente ingombro di moltissime scarpe di tutti i tipi. Ci sono degli scaffali fatti con vecchie cassette di frutta, poggiate una sopra l'altra, ma le scarpe sono tante e tracimano, invadono tutto lo spazio, lasciando libero solo uno stretto passaggio davanti alla porta.
1
Lo sapevo. Ho perso il treno. Che palle!
Colpa dell'autobus che non arriva mai. Per fare dieci Km ci mette più di mezz'ora. Adesso devo aspettare un'ora. Mi avvio rassegnata verso la sala d'aspetto. Per fortuna c'ho un Diabolik. Lo leggo sempre in treno, il Diabolik, o a Bologna, ma mai a casa coi miei. Per non discutere. Non si può leggere tranquillamente un Diabolik coi miei. Quando sei a metà storia, sul più bello, arriva sempre qualcuno (dei saggi) che dice:
<<Perché perdi il tempo a leggere quelle porcherie? Leggi un bel libro piuttosto!>>
Si magari I Promessi Sposi o La Divina Commedia. Grazie tante.
Pensare che è così distensivo il Diabolik e poi mi piace Eva.
E' bella, ma è anche intelligente.
Beata lei !
Uffa, come pesa ‘sta valigia.
Frugo nella borsa per cercare le chiavi.
Maledizione, non le trovo. Le avrò dimenticate sulla scrivania venerdì pomeriggio quando son partita. Speriamo di non averle perse.
Suono il campanello sperando che ci sia qualcuno in casa. Mi aprono. Meno male! Arranco, stanca, col borsone fino al terzo piano.
Sulla porta c'è Nicoletta. Ha una strana tenuta, con la cuffia da bagno in testa e gli occhialini da piscina, ma vestita di tutto punto.
<<Ma cosa fai conciata così?>>
<<Voglio provare ad andare in piscina. Ma voglio prima abituarmi a mettere la testa sott'acqua. Col fatto delle lenti a contatto non ho mai provato, allora mi è venuto in mente di fare delle prove con la bacinella dei piatti>>
<<Sei un po' fuori, comunque è un'idea!>>
Mollo il borsone sul mio letto e vado in bagno. Do un'occhiata in cucina dove Nicoletta continua i suoi esercizi di immersione settoriale.
Sono finalmente a letto. Penso a domani. Devo studiare perché tra qualche giorno ho un esame. Se mi va bene dopo vado a comprarmi dei vestiti nuovi. Non è che sia proprio piacevole per me comprarmi dei vestiti nuovi. Devo girare molti negozi prima di trovare qualcosa che mi vada e mi stia decentemente. La cosa più penosa, in quei momenti sono gli sguardi compassionevoli delle commesse, sempre magre e carine.
Tutto il contrario di me.
Prima quando ancora andavo a comprarmi i vestiti scortata dalla mamma, trovavo più facilmente, ci mettevo meno tempo. Ma era un gran mortorio. Il mio guardaroba era estremamente monotono. I colori permessi erano solo nero, grigio, marrone, blu. Perché snelliscono. Ho una vasta gamma di gonne a pieghe negli armadi, a casa. Pieghe davanti e didietro, solo davanti, solo didietro (di fianco no perché ingrossano), ma sempre pieghe. II risultato, ovviamente variava poco. Sembravo sempre un vecchio ippopotamo, ma molto elegante. Adesso con l'età della ragione sono passata al jeans. Che conquista! Si trovano tutte le taglie fino al 58. Non devo preoccuparmi del futuro. Io compro in genere il 52 o il 54, a seconda delle marche, e li devo solo accorciare. Praticamente li taglio a metà, ma non importa, almeno adesso ho qualcosa in comune con la mia generazione, il jeans.
Oggi devo proprio studiare. Sono indietro col programma. Tutta questa settimana la devo proprio dedicare allo studio se voglio togliermi dal gozzo ‘sta chimica II.
Da un po' di mesi mi dedico di più allo studio di prima anche se non brillo neanche adesso. Ma non lo pretendo, sono sempre stata un fanalino di coda. Lo studio è solo una delle mie tante attività. Ultimamente, però, mi appassiona di più. Infatti adesso i voti superano quasi sempre il venticinque.
Mi sono organizzata e ho fatto la spesa per tutta la settimana, così non ci penso più e posso studiare senza perdite di tempo, indisturbata. Da un po' per arginare il mio peso con crescita esponenziale ho adottato una nuova strategia, compro sempre quantità megagalattiche di frutta e verdura. Funziona e da circa un anno non aumento. Dal fruttivendolo qui vicino la verdura non è un gran ché. Quasi tutte noi (alcune si portano tutto da casa) andiamo a far la spesa allo stesso negozio e così spesso ci ritroviamo a ruminare pazientemente gli stessi coriacei radicchi a tavola. Ci viene da ridere, mentre ruminiamo una di fronte all'altra. Ma sono fibre, fanno bene e costano poco.
Ho studiato parecchio però l'esame è andato bene. Appena uscita ho telefonato a casa. Telefono sempre per fargli sapere il risultato. Lo faccio per gentilezza anche se ho sempre l'impressione che non gli importi poi tanto. Hanno altri problemi a casa mia, evidentemente più importanti dei miei esami. Io quando studio uso sempre gli appunti di Roberta che fa il mio stesso corso. E' troppo buona con me, ho sempre l'impressione che me li da a denti stretti, perché non riesce a dir di no. In effetti io studio sul frutto della sua diligenza e prendo sempre lo stesso voto o un punto in più. A me verrebbe una rabbia. Però credo che venga anche a lei.
Il mese prossimo ho un altro esame. Questo però è facile. Dicono tutti che il professore è buono. Non sono molto preoccupata per questo esame. Me la voglio prendere con calma e dedicarmi di più alle amicizie che ultimamente ho un po' trascurato. Ho trascurato anche la mia amata 600 bianca.
Veramente non è mia. Me l'ha prestata un amico.
Lui l'aveva nel cortile ad arrugginire e così abbiamo fatto questo accordo, che io la sistemo un po' e me la tengo per sei mesi. In cambio gli ho prestato il mio motorino. Adesso funziona perfettamente, la 600. E’ come un orologio svizzero. L'anno scorso ci abbiamo fatto anche il giro della Sardegna. E' andata bene anche se dovevamo girare sempre con una bottiglia d'acqua per il radiatore. Fa solo un po' fatica ad accendersi. Dovrei cambiare la batteria, ma ci penserò più avanti. Tanto adesso andiamo verso la primavera.
Un pomeriggio, un po' di tempo fa, ero lì che studiacchiavo sul divano. Ero sola.
Ho sentito, giù nella strada, l'inconfondibile rumore di una 600.
Ho pensato: <<Toh ! Un'altra 600!>>
Ho pensato con affetto al conducente ignoto.
Dopo cena, sono uscita per raggiungere la solita combriccola. Ho percorso in lungo e in largo Via Belletti, maledicendo la mia odiosa distrazione. Finalmente, a un certo punto, mi è venuto in mente dove l'avevo messa. Però qualcosa non mi quadrava. Adesso al posto della venerata 600 c'era un orribile vuoto.
Sparita, volatilizzata! Rubata!
Certo che bisogna essere proprio stronzi per rubare una 600 del '63 !
Sono tornata di sopra, in casa, come un cane bastonato. Ho passato tutta la sera ad augurare grandi catastrofi al ladro. Chi poteva immaginare che quel rumore di 600, il pomeriggio, non era "un'altra 600", era la "mia 600".
Mondo crudele !
Il giorno dopo sono andata a fare la denuncia. Il carabiniere scriveva, molto coscienzioso, con una macchina da scrivere antidiluviana, più vecchia forse anche di quella di mio babbo. Non era convinto che io col legittimo proprietario avessi solo rapporti d'amicizia. Ha insistito per scrivere fidanzato. A me non pare che prestare una carretta così equivalga a una promessa d'amore eterno, ma ho annuito rassegnata. Tanto per me cambiava poco amica o fidanzata.
Ma sempre a piedi.
Qualche giorno dopo Angelo, il moroso di Maria, mi ha detto che gli sembrava di aver visto la 600 parcheggiata sui viali. Io non ci credevo, sarebbe stato troppo bello! Comunque il giorno dopo son andata a vedere. E’ venuto anche lui con me. E' gentile Angelo e anche molto simpatico. Solo che quando ride si vedono i denti storti. Lungo il tragitto in autobus non abbiamo parlato molto. Pensavo alle mie disgrazie. Sono una frana in tutto. Non c'è niente nella mia vita che mi piace, tranne la 600, che non è neanche mia. Mi sento piccola piccola, incapace di dirigere il mio destino, intrappolata in un ingranaggio che mi stritola.
A un certo punto siamo scesi dall'autobus e abbiamo camminato un po'. E poi ho avuto un tuffo al cuore.
L'ho vista! Era lei!
Ferma, accostata al marciapiede. Tranquilla.
Con quel culo rotondo sembrava un gatto che dorme. Le sono corsa incontro, le ho fatto un giro intorno per vedere se l'avevano rovinata. Ho resistito alla tentazione di abbracciarla e di baciarla per non essere patetica. Io già me la immaginavo distrutta, abbandonata in una delle tante autodemolizioni.
E invece eccola qui, viva e vegeta.
Non c’era più un grammo di benzina dentro, ma non importava. Sono bastate cinque mila lire e dopo un po' ho risentito ancora il suo bel rombo aeronautico. Sono tornata a casa trionfante a bordo della mia "torpedo blu".
Che bella la vita !
C.V.D.
Come volevasi dimostrare.
L'esame facile-facile è andato male.
Ma questa volta io non c'entro. La colpa è della malasorte che si accanisce contro di me. Quella prima di me non sapeva un tubo ed io ero li in prima fila, che pregustavo già il sapore della vittoria. Invece quando mi sono seduta, ho parlato un po' e ho sbagliato un grafico, ma ho fatto un errorino piccolo piccolo. Il professore si vede che aveva già finito la pazienza con quella prima, è sbottato e mi ha mandato via immediatamente. Sono andata a telefonare a casa e mi sono messa a piangere come una cretina. Io, siccome non studio molto, non piango neanche molto per queste cose. Mi è capitato solo un'altra volta, all'esame di maturità (un altro colpo di sfiga proverbiale). Mi è venuta una rabbia! Anche l'altra volta ho pianto per la rabbia. Dopo un po' mi è passata, la rabbia, tanto cosa vuoi che ci faccia.
Oggi è lunedì e sono passati otto giorni esatti dal giorno triste e nefando dell'esame. Nel pomeriggio mentre scendevo le scale della facoltà mi sono trovata di fianco, per caso, il professore. Quello là famoso. L'ho guardato con odio. Si è ricordato di me. Deve essere un buon diavolo, poveretto, perché mi ha detto:
<<Signorina, se vuole, lunedì prossimo glielo faccio ridare l'esame. Però mi raccomando venga da sola.>>
Qualsiasi persona con un briciolo di cervello avrebbe risposto :
<<Certo, grazie professore!>>
Invece io cosa ho risposto?
<<Non so, vedrò, se ho tempo!>>
Mi sarei mangiata la lingua. Ma come si fa a rispondere così a un professore universitario! Ma si può essere più stronzi di così ? A casa alle mie amiche non ho detto niente a nessuno, tanto la ramanzina me la faccio da sola.
2
Io ci sto bene in questa città e torno poco a casa dai miei. Con le mie compagne di appartamento vivo discretamente e sento che mi vogliono bene. Ho anche tanti amici bolognesi. C'è una ragazza con cui ultimamente sono diventata abbastanza amica. Da un po' di giorni mi parla sempre di uno che le piace e insiste che me lo vuol far conoscere. Finalmente stasera andiamo a mangiare a casa di questo tipo. Abita con un amico. Mi sa un po' di incontro combinato e non mi piacciono tanto queste cose perché io non ho bisogno che mi combinino gli incontri. So arrangiarmi da sola, io, e poi, ste robe sono quasi sempre fregature. Accetto, però per far piacere a Mirca che ci tiene tanto a farmelo conoscere.
Arriviamo in questo appartamento e rimango un po' stupita perché uno dei due io lo conosco di vista. E' un bellissimo studente iraniano. Mirca è tutto un cicì e cocò con quell'altro e quello iraniano comincia dichiaratamente a flirtare con me.
Non mi sembra vero.
Possibile che guardi proprio me, lui così bello ?
Io accetto lusingata. La serata prosegue così, Mirca con l'italiano e quell'altro con me.
A un certo punto Mirca si infila il cappotto. Capisco che sta per andarsene. (Ma e io che sono in macchina con lei?)
Domando:<<Ma dove vai?>>
Mi risponde con tono feroce:
<<Che cazzo te ne frega?>> E se ne va.
Rimango lì come un'oca a chiedermi dove ho sbagliato.
Ho dormito lì quella sera.
L'iraniano mi ha promesso che viene a trovarmi, anche se ancora non ci credo.
Sono due giorni che ci penso e finalmente ho capito perché la Mirca si è arrabbiata con me. Lei voleva farmelo conoscere, ma non farselo fregare. Ma io non sapevo quale dei due le interessava. E poi per tutta la sera non si sono mai detti una parola, lei e l'iraniano. Neanche guardati in faccia.
Come facevo, io, a capire?
Ho raccontato alle mie compagne di appartamento del mio nuovo corteggiatore e sono tutte ansiose di conoscerlo. L'iraniano!
Un pomeriggio suona il campanello. Siamo in due in casa, io e Maria. Guardo giù dalle scale e corro da Maria: <<E' lui! E' lui!>>
Entra.
Lo facciamo accomodare in cucina e gli facciamo un caffè. Ma qualcosa non va.
Forse sono diventata improvvisamente trasparente o non so cosa perché non mi guarda neanche. Ma come? Mi pareva d'aver capito che era venuto per me! Non mi rivolge quasi la parola, lo stronzo! Non ha occhi che per Maria che in effetti è molto più carina di me. Però mi sembra un po' esagerato, sinceramente.
Capisco che è un'abitudine per lui, un brutto vizio, diciamo più che altro!
Ma ho già capito il genere. E' una vecchia tiritera. E' comunque una piccola delusione che si aggiunge all'elenco.
Dopo, io e Maria, parliamo di questa cosa. Mi sento compresa e la sento solidale. Alla sera quando tornano le altre, lo raccontiamo anche a loro. Mi vogliono bene e stanno tutte dalla mia parte. Come le amo. Sento che siamo forti noi cinque. E questo legame è a prova di bomba.
Alla Mirca le ho telefonato però poi non l'ho più vista.
Siamo in casa, io, Maria e la Bianca. Suona il campanello. Apro il portone di sotto e guardo giù dalle scale per vedere chi è. E' ancora lui, lo stronzo ! Deve ancora raccogliere i frutti del suo sudore!
Entra e siamo tutti in piedi nel piccolo corridoio. Soliti convenevoli, presentazioni.
Dopo qualche secondo Bianca (che è la più sveglia tra tutte noi) dice :
<<Scusate, io devo studiare.>> Entra in salotto e chiude la porta.
Io e Maria ci guardiamo e lei dice :
<<Io devo fare la doccia.>> Entra in bagno e chiude la porta.
<<Mi dispiace anch'io devo studiare!>>gli faccio io. Entro in cucina e mi chiudo dentro.
Lui rimane lì, da solo al buio, nel corridoio, come un cretino.
Dopo qualche minuto sentiamo che apre la porta e se ne va.
Quando sentiamo sbattere il portone giù di sotto ci ritroviamo tutte e tre a ridere a crepapelle nel corridoio.
Gli sta bene. Ha preso una smerdata che non si è più fatto vedere!
3
Stasera Angelo mi ha detto che ha visto un avviso in facoltà di una qualche associazione per borse di studio di un anno all'estero. Mi piacerebbe proprio andare via per un anno intero. Sto finendo di studiare e l'estate prossima dobbiamo andare via da questo appartamento. Non so cosa farò quando sarò fuori da questa casa, so solo che non voglio tornare a casa coi miei.
Voglio andare a chiedere informazioni su questa borsa di studio. Speriamo non guardino il rendimento scolastico, se no sono fregata.
Stamattina sono andata a cercare in facoltà l'avviso di queste borse di studio. Mi sono tirata giù l'indirizzo e l'orario di ricevimento e adesso sono qui in via Emilia Levante che cerco la sede di questa associazione. Entro in un cortiletto interno, un po' squallido e finalmente un cartello su una porta a vetri mi dice che sono arrivata.
Busso, apro e mi trovo davanti un giovane barbuto e corpulento. Mi spiega come funziona. Mi sembra una cosa seria. Prendo i moduli per fare la domanda.
Quando ne parlo a casa, ai miei genitori, mi sembrano molto indifferenti riguardo a questa cosa. Comunque non mi hanno detto di no. Questo è l'importante.
Posso continuare per la mia strada.
Ieri era lunedì e sono andata a cercare quel professore per dare l'esame facile-facile. Non c'era. Ci sono tornata quattro lunedì di fila a cercare quel professore poi finalmente il quinto l'ho trovato e me l'ha fatto dare.
Mi ha detto:
<<Lei signorina le cose le sa, ma ha una maniera di esporre poco convincente>>
Fa presto lui a dire, ma come si fa essere convincenti con gli altri, se io per prima, non sono convinta di me stessa?
Ho studiato tutta la mattina. Adesso è ora di mangiare e ho fame.
<<Chi vuole un po' di pasta asciutta>>.
Metto la pentola sul fuoco e intanto preparo la tavola. Questa cucina è un budello lungo e stretto coi muri un po' scrostati e le mattonelle che ogni tanto ne casca giù una. Ha i mobili un po' raccattati a destra e a sinistra, pur che sia. L'appartamento è di mio babbo. Ma siccome l'ha già venduto a qualcuno non vuole spenderci dei soldi. Io sono la padrona qua dentro, ma non sono capace di fare la padrona. Ho solo le rogne della padrona, cioè mi becco le riunioni condominiali e le lamentele di quelli che stanno di sotto. Quello che sta sotto di noi, poi, da quando il mio babbo l'ha venduto, non perde occasione per farci dei dispetti. Sperava di comprarlo lui, ma il mio babbo l'ha venduto tic tac, senza neanche dirmelo. Cosa c'entro io?
<<Come la condiamo la pasta?>> domando.
<<Io ho del sugo di pomodoro.>> risponde Nicoletta.
Bianca cerca nel frigo: <<Non c'era un resto di frittata?>>
<<L'avrà mangiata Pizza.>>
<<Come al solito sgombra sempre tutto!>>
Pizza è il moroso di Nicoletta. E' spesso qui. Non sarebbe mica niente se non avesse il vizio di spazzolare tutto quello che trova di commestibile. E non solo ogni tanto spariscono anche sigarette e accendini. E' un tipo strano. Crede di essere bellissimo. Per me invece non è niente di eccezionale. Anzi.
Ma se va bene a Nicoletta. Contenta lei contenti tutti.
Mentre siamo a tavola che chiacchieriamo improvvisamente le bottiglie vuote sopra la nostra credenza verde bandiera (dipinta da me) cominciano a tremare, ballano e suonano. Ogni volta ci viene un accidente perché sembra sempre il terremoto invece per fortuna sono solo i merci della linea Bologna-Firenze.
Penso sempre a questa idea di andare via e mi piacerebbe proprio mollare tutti qui a cuocersi nel loro brodo. Tanto tra un po' di mesi dovrei cambiare tutto lo stesso. Tanto vale fare proprio una roba radicale. Ho già fatto un viaggio da sola l'anno scorso. E' stata una idea della mia mamma. (Ogni tanto devo ammettere che qualche illuminazione ce l'ha!) Sono andata a trovare sua sorella in Brasile. Avevo un sacco di paure e invece sono stata via per un mese e mezzo ed è andato tutto bene. In aereo all'andata ho fatto amicizia con un ragazzo di diciott'anni che andava a trovare sua madre, sposata a un ambasciatore di Rio.
Però !
Il viaggio è stato bellissimo. Guardavamo giù, dagli oblò, l'oceano la sotto. Sembrava così lontano.
Andava e veniva, andava e veniva, andava e veniva.
Un moto perpetuo, ripetitivo e solitario senza traccia d'uomo. Senza accorgermene avevo lasciato tutte le mie angosce esistenziali a terra e lassù, su quell'aereo, mi sentivo leggera.
Gli astronauti, forse, si sentono così ?
Non ho avuto paura.
Lui aveva la chitarra e abbiamo cantato e suonato tutto il tempo. Poi quando ci siamo stancati ci siamo addormentati uno sulla spalla dell'altra. E pensare che non l'avevo mai visto prima. L'ho incontrato al controllo bagagli di Milano. La gente vicino a noi credeva che fossimo morosi. In effetti anche a me sembrava di conoscerlo da sempre. Arrivati a Rio, lui dopo un po' ha trovato la sua mamma, una donnina magra e timida, ci siamo salutati ed ognuno è andato per la sua strada. Però prima mi ha lasciato una sua fotografia di lui sul Corcovado, con lo sfondo di Rio di dietro.
Ce l’ho ancora.
In quel posto, là, in quell'isola nella baia di Bahia, tutto era nuovo e mai visto. Ero come un neonato alla scoperta del mondo.
Alla fine poi non ho mica scoperto niente di speciale. Però ho scoperto quanto bello è fare la doccia, con l'acqua gelata che esce a sciacquone da un tubo che pende dal tetto e intanto guardare fuori le palme brillanti che spiccano sull'azzurro del cielo.
E poi ho scoperto che quei colori per tessuti con cui ho tinto di rosso la camicia comprata usata alla Montagnola non valgono niente perché quella mattina che ho trovato i miei vestiti, poggiati sulla sedia di fianco al mio letto, bagnati fradici, dopo che ci aveva piovuto sopra tutta la notte, il rosso della camicia era passato ai blue-jeans, alle mutande e a tutto il resto.
Dopo dieci giorni che ero lì, in quella casa mezzo diroccata, in quel paesino sperduto e boccheggiante di caldo, un giorno, per caso, mentre ero seduta su una sedia, mi è cascato l'occhio sulle mie mani. Sono rimasta così stupita, come se non le avessi mai viste prima. Erano belle lisce, così diverse dalle mani che avevo in Italia. A casa mi mangiavo sempre le pellicine e avevo sempre le dita piene di ferite e intorno alle unghie erano sempre rosse e spelacchiate. In quei pochi giorni era sparito tutto. Ho ricominciato anche a dormire dopo mesi di insonnia resistente a tutto.
Chissà forse anche io ho il mio pezzo di felicità che mi aspetta, lì da qualche parte, in un posto tipo quello, perso in qualche angolo di mondo.
Devo solo cercarlo però adesso so che da qualche parte c'è.
4
Prima di quei quarantacinque giorni tutta la mia vita si poteva riassumere in una parola :
DISGRAZIA !
Mi alzavo la mattina già depressa. Il mio primo e quasi unico pensiero era farmi le carte. Mi facevo le carte prima di colazione. Mi ricordo che mi sedevo in cucina ancora in camicia da notte, quella celeste di pura plastica ereditata dalla zia Claudia, (solo lei poteva comprare della roba così!) e cominciavo a buttar giù quelle maledette carte. Le scoprivo una alla volta, piano, piano. Era un rito che richiedeva impegno e concentrazione. Erano la mia vita, il mio futuro e quando le avevo tutte scoperte le contemplavo a lungo, assorta, come se quelle figurine colorate avessero avuto il potere di cambiare il mio destino. Ma erano troppo silenziose e non mi hanno mai dato il consiglio giusto per cambiare rotta! Ho imparato a farmi le carte da Maria. E' lei che è intrippata con le carte tra noi.
Tutta la sua famiglia è un po' intrippata con le carte. Ma anche a me mi aveva preso mica male. Mi facevo le carte un sacco di volte al giorno. Mi divertivo, però un po' ci credevo. C'avevo sta fissa delle carte e non uscivo se prima non mi ero fatta le carte. Se non venivano tanto favorevoli le rifacevo di nuovo e poi ancora. E poi ancora. Poi uscivo ma appena tornata a casa mi ci ributtavo a capofitto. Per un po' di mesi, due, tre, forse un inverno sono state la mia vita.
Per fortuna mi è passata. Dopo che sono tornata dal viaggio ho passato due mesi che ero come chiusa in un bozzolo. Mi sentivo uno zombi. Poi un po' alla volta mi sono svegliata e sono uscita dal coma. La scuola ha cominciato a piacermi e non la vedo più così astrusa. Adesso sento che è un mezzo, buono o cattivo non importa, per poter fare qualcosa di bello in futuro, per me e anche per gli altri.
Non è che adesso sia tutto rosa, ma è un po' meno nero di prima. Sto meglio e non penso più di essere un caso senza speranza.
Dopo lunghe cogitazioni filosofiche ho concluso che devo trovare un'alternativa alla borsa di studio. Il mio futuro non può mica dipendere da `sta borsa di studio! Qui vicino c'è una associazione di cooperazione internazionale e voglio andare a chiedere informazioni. Da una parte o dall'altra troverò qualcuno che mi vuole. Ma se voglio andare a lavorare all'estero devo avere il mio diplomino. Onde per cui devo darci dentro con lo studio.
Oggi è l'ultimo martedì di carnevale. Siamo su un treno diretti a Venezia. Ci siamo tutti, ma proprio tutti. C'è anche Giulio con la Rosa. Nel nostro scompartimento, proprio seduto di fronte a me, c'è uno truccato da negro, molto buffo. Siamo fermi. Il treno riparte e poco dopo passa nel corridoio un negro, vero, questa volta. Vede un posto libero e si siede proprio di fianco a quello finto. Quello finto è un po' imbarazzato, non sa dove guardare e gli scappa anche da ridere. Io li ho proprio davanti, tutti e due. Questo intreccio di negri mi fa venire in mente il martedì grasso dell'anno scorso. Non era stato per niente divertente il carnevale di un anno fa. Avevo un moroso nigeriano, un buon ragazzo, mi voleva bene a modo suo. Ero sola in casa, con lui. Eravamo tranquilli e sereni. Poi lui a un certo punto, forse aveva fumato un po' troppa maria, ma ha cominciato a dire che stava male. Stava seduto sul letto e si lamentava. Io non ci ho dato molto peso all'inizio e cercavo di rassicurarlo. Poi ha cominciato a lamentarsi sempre di più e a dire che si sentiva male e che stava per morire. <<Muoio, muoio!>> diceva. Allora ho cominciato ad agitarmi anch'io.
Che ne so e se è vero?!
Non c'avevamo neanche il termometro che si era rotto un po' di tempo prima e dato che più nessuno era stato male non l'avevamo più ricomprato. Mi guardava con gli occhi sgranati come due padelle e continuava a lamentarsi. E se sta per venirgli un infarto? Cosa gli dico ai miei? Come lo giustifico un morto nigeriano, di Benin City, in casa loro? Decidiamo di andare al bar più vicino e telefonare al centotredici per chiamare l'ambulanza. La 600 ancora non l'avevo. Erano le dieci di sera. Il bar era pieno dei soliti uomini che giocavano a carte e facevano chiasso. Nessuno badava a noi. Lui era là seduto su una sedia di fronte a me, che tremava come una foglia e continuava a ripetere:<< Muoio, muoio>> Io ero agitata, comunque faccio il numero e mi passano il pronto soccorso del S. Orsola. Qui mi risponde un uomo. Gli dico di mandare subito, un'ambulanza e gli do l'indirizzo del bar. Sembrava fatta e già cominciavo a rilassarmi che questo comincia a farmi un sacco di domande del tipo chi è il malato, come si chiama e poi mi chiede che cos'ha.
<<Cos'ha?>>
E che ne so io?
Se lo sapessi glielo avrei già detto e forse non avrei neanche telefonato al pronto soccorso. E' proprio perché non so che cos'ha che sono preoccupata.
<<Non so. Non so che cos'ha. A vederlo sembra normale, ma trema, forse ha la febbre, ma non lo so. Ma dice che sta per morire, che muore.>>
La risposta del telefonista mi lascia interdetta, è qualcosa che il mio vocabolario non contempla:
<<Basta, basta con questi scherzi!>>
Rimango di stucco e mi viene in mente che è vero, è l'ultima sera di carnevale, non ci avevo pensato. Scherzi?! Magari fosse uno scherzo, per me è una tragedia. Lui continua a guardarmi, seduto sulla sedia, a tremare e a ripetere come una cantilena: <<Muoio, muoio !>>
Sono in preda al panico. Decido comunque di telefonare a un altro numero di emergenza. Mi rispondono e mi dicono :
<<Le passo il pronto soccorso del Sant’Orsola>>
Oddio, no! Ancora quello di prima! Mi sento perduta! Non faccio in tempo a dire niente, spero solo che, se è ancora quello di prima, non mi ammazzi. Non risponde quello di prima, per fortuna questo è più gentile, gli spiego le cose come stanno gli do l'indirizzo. Chiudo il telefono che sono più tranquilla, mi siedo su una sedia anch'io ad aspettare l'ambulanza. Che però non arriva mai. Alla fine un cliente gentile del bar si offre di portarci con la sua macchina al pronto soccorso. Meno male che qualcuno col cuore c'è ancora in circolazione, nonostante impazzi il carnevale! Arriviamo all'ospedale, lo ricoverano, sto con lui un po' e poi a mezzanotte lo lascio solo, lì nel letto d'ospedale. Ma finalmente sono tranquilla. L'ho lasciato in buone mani.
Quando esco mi sento proprio sfatta, ma non ho voglia di andare a casa, dove non c'è nessuno. Vado da un amico bolognese, gli racconto tutto, e lui mi dice :
<<Ma perché non mi hai telefonato?>>
E' vero. Stupida, era così semplice, lui la macchina ce l'aveva. Tutto è bene quel che finisce bene, ad ogni modo è meglio non ammalarsi mai nei giorni di festa. L'ultima sera di carnevale poi è da suicida! Ma bisogna provare tutto nella vita per capire quanto può essere assurda in certi momenti!
II treno si ferma in una stazione e il negro scende ed esce di scena. Cambio pensieri. Pensiamo al carnevale di oggi e speriamo che sia meglio di quello passato.
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In questo periodo frequento molto un appartamento di studenti marchigiani. Mi diverto molto con questa gente, soprattutto con uno. E' magro allampanato con i capelli neri spioventi sulla fronte. Ha la faccia lunga lunga e due occhiaie bluastre che gli arrivano al mento. Però ride volentieri e quando ride si trasforma. Sento che ha un debole per me. Ma io, per lui, non ce l'ho. O meglio ce lo potrei anche avere se non sentissi dentro qualcosa che mi frena. E poi è l'ex di una mia amica tanto bella. Cosa penserebbe lei se lui si mette con me, che sono brutta? Io questa mia amica non la vedo più tanto spesso perché adesso abita lontano. Io l'ho sempre tanto ammirata, anche se certe volte mi ha un po' strapazzato; adesso non la vedo quasi mai, ma lei lo verrebbe a sapere lo stesso da altra gente. E se non mi volesse più bene ? Meglio evitare.
Tanto ce n'è anche un altro che mi piace tra quelli lì. E' tutto diverso. Questo i capelli non li ha. Ha un sorriso timido e dolce. Ci troviamo spesso da soli a parlare a casa sua. Si chiama Piero. Chissà se ha capito che mi piace (e se l'ha capito il suo amico?)
Mi mancano ancora due esami e la tesi e domani vado in biblioteca e comincio a cercare il materiale. Ho scelto un argomento un po' strano in cui centrano gli allevamenti di polli. Bah! Sinceramente dell'argomento della tesi non me ne frega gran chè, l'importante è andare avanti. Comunque sarà per l'idea del viaggio, ma sto andando veramente forte con lo studio. Sono diventata uno studente modello. Tutti i giorni in biblioteca a cercare sta roba sui polli. I bidelli mi prendono perfino in giro perché manca solo che ci pianti la tenda in quella biblioteca. Oggi ero come là come al solito è passato di lì il direttore della scuola. Mi si è avvicinato e mi ha detto: <<Signorina, ma lei, così grassa, vuol fare la dietista?>>
Credeva di far ridere invece proprio è stato penoso. Io mi sono girata di scatto verso di lui, come un cane rabbioso. Per fortuna non l'ho morso, gli ho solo fatto notare che nonostante il peso io sono in ottima salute. E che questo particolare mi sembrava importante. Mi ha guardato pensieroso e ha borbottato :
<<Eh già! La salute. E' questo l'importante.>>
Sembrava che grazie a me avesse scoperto una gran novità. Dopo un po' se n'è andato e mentre camminava verso la porta continuava a borbottare da solo :
<<Eh già! La salute!>>.
Poveretto, l'ho sconvolto.
Ancora della borsa di studio non si sa niente. Bianca dice che secondo lei la vinco. Speriamo che sia vero.
Stasera andiamo a mangiare la pizza tutte insieme. Siamo tutte qui sedute al tavolo di cucina che aspettiamo Maria che, come al solito, è in ritardo.
Il tempo passa ma di lei neanche l'ombra. Dopo un po' cominciamo a scocciarci e anche a preoccuparci. Che fine avrà fatto? Oggi pomeriggio ci sono stati dei disordini con la polizia. Io lo so perché stavo andando a lezione e mi ci sono trovata proprio nel mezzo. In Via Rizzoli ho visto una signora col fazzoletto che si asciugava gli occhi e piangeva.
<<Poveretta!>> ho pensato.
Dopo un po' ho incontrato altre due o tre signore col fazzoletto, che tiravano su col naso. Lì per lì non ho capito niente e ho pensato:<<Boh! Forse c'è stato un funerale di qualcuno importante.>>
Poi ho visto una gran nebbia e improvvisamente ho cominciato a piangere a dirotto anch'io.
Altro che funerale erano i gas lacrimogeni!
Afferrato il concetto ho invertito prontamente la rotta.
Aspetta, aspetta ormai son le nove e di Maria nessuna notizia.
Finalmente alle undici spalanca la porta come un tornado!
Naturalmente anche lei ha incontrato i disordini, ma ci si è buttata a capofitto nel mezzo. L'hanno presa e portata in questura col cellulare della polizia. L'hanno interrogata tutto il pomeriggio.
La tempestiamo di domande.
<<Non avrai mica dato questo indirizzo? Se no ci fanno una perquisizione.>>
<<No, no, ho dato un indirizzo falso.>>
Ma non sembra tanto convinta, secondo me ha spifferato tutto. Penso al mio babbo ci manca solo la perquisizione e poi è a posto. Siamo super agitate, abbiamo in casa parecchio fumo di Pizza.
<<Bisogna nasconderlo!>>
<<Si, ma dove? E se lo trovano?>>
<<Lo buttiamo nel cesso!>>
Siamo tutte d'accordo! Per la causa comune sacrifichiamo il malloppo di afgano nero. Nicoletta lo butta nel cesso e io tiro lo sciacquone. Con rammarico lo guardiamo scomparire nel water.
Bella serata!
Maria è un po’ sconsiderata, ma a me piace anche per questo. Si butta nella mischia a testa bassa a difendere sempre i deboli. Io invece ho paura. Una volta eravamo in via Rizzoli e in mezzo alla strada c'erano due persone che litigavano e uno era mite mentre l'altro lo prendeva a spatassoni. Lei voleva andare a dividerli e a difendere quello sfigato a me invece mi ha preso un nodo alla gola e mi veniva da piangere. Mi sentivo inutile e avevo anche paura, ma non di prenderle, paura di non poter far niente. Alla fine siamo andate via, ma io mi sono sentita proprio una pappa molle.
L'unica volta che non ho avuto paura di fronte alla violenza fisica è stato due anni fa. Ero andata a mangiare a mezzogiorno da una mia amica ex compagna di scuola. Era già sposata, lei, e con un bambino di pochi mesi. Era il suo primo anniversario di matrimonio, quello lì. Abbiamo preparato allegramente il pranzo insieme, io e lei. Poi è tornato il marito dal lavoro. Appena è entrato mi ha guardato con occhio torvo e ha detto rivolto a lei:
<<Cosa ci fa lei qui? Non la voglio!>>
<<L'ho invitata io per il nostro primo anniversario di matrimonio.>>
Rivolto a me:
<<Vai via!>>
<<No deve rimanere. L'ho invitata io.>>
<<Vai via!>>
<<No resta!>>
<<Via!>>
<<Resta!>>
Io non sapevo cosa fare, stavo lì come un'oca. Poi a un certo punto l'ha incantonata in un angolo di quella cucina piccola piccola e lì ha cominciato a prenderla a calci e botte. Lei all'inizio cercava di restituirgliele poi dopo un po' si difendeva soltanto. Io guardavo le braccia e le mani di lui che come dei mulinelli giravano vorticosamente e si abbattevano sulla faccia della mia amica. Il bambino per fortuna dormiva, poverino. Io sono rimasta di stucco, ma non avevo paura. Sentivo che non potevo fare niente. Avevo la testa completamente vuota. Dopo un po' ho aperto la porta e sono uscita. Lui è venuto fuori e ha avuto anche il coraggio di dire:
<<E non dire niente ai suoi!>>
Io?! Se non glielo dice lei!
Mi sono incamminata e quando ero a un centinaio di metri da quell'appartamento lui è uscito sul terrazzino e mi ha detto:
<<Dai, va là, vieni a mangiare.>>
Lei gli stava di fianco senza parlare.
Mi sono fermata un po' a pensarci su e poi mi sono vista seduta a mangiare alla stessa tavola, vicino a quello lì. Mangiare andava anche bene, ma chi digeriva poi? Mi sono girata e ho continuato la mia strada. Non avevo tanti soldi e così sono stata senza mangiare tutto il giorno fino a quando non sono tornata a casa la sera. Meglio digiunare piuttosto che mangiare di fianco a quello. Era una rivolta ridicola, ma l'unica possibile per me in quel momento e non mi sono sentita una pappa molla, quella volta lì.
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La tesi è quasi pronta. Adesso devo dare l'ultimo esame. E' il più difficile e l'ho sempre rimandato per questo. Non ho molto tempo per prepararlo. Come al solito studio sugli appunti di Roberta. Poverina è un po' invidiosa perché in poco tempo le sono passata avanti con gli esami. Mi fa il lavaggio del cervello e mi dice continuamente che tanto non ce la faccio in venti giorni a prepararlo perché il professore è cattivo e l'esame è difficile.
Ma io tento lo stesso.
E' fondamentale questo esame per me. Deve andarmi bene perché altrimenti mi gioco la tesi. L'altro giorno sono andata a chiedere informazioni sulla borsa di studio e finalmente mi hanno comunicato il risultato.
Ce l'ho fatta e partirò a metà luglio.
Credevo che avrei avuto la stessa reazione degli sportivi quando vincono una gara, tipo buttarmi per terra, svenire o saltare con le braccia alzate invece sono rimasta seduta composta. Forse ci ho tanto pensato nelle mie notti insonni che sono troppo stremata dall'attesa. Sono come in catalessi. E' una gran vittoria questa, per me. Nei confronti dei miei, ma anche nei confronti di tutti quelli che mi hanno sempre fatto sentire un gran verme. Rimarranno a bocca aperta a schiattare d'invidia e a rotolarsi nella loro melma.
E io invece me ne vado!
Che gusto !
Non so perché hanno scelto me tra tanta gente, io penso di non avere proprio niente di speciale, ma contenti loro contenti tutti. Soprattutto contenta io.
Mi mandano in Bolivia. Non è un paese che mi attrae tanto, ma è lo stesso. L'importante è andare via, cambiare, ricominciare da zero.
Stamattina finalmente vado a dare l'ultimo esame. Ieri sera, mentre ripassavo le ultime cose mi è venuta una gran crisi mi sembrava di non sapere più niente e mi sono messa a piangere a dirotto sugli appunti di Roberta. Per fortuna le mie compagne mi hanno sentito e sono venute a consolarmi e così mi è passato un po'. Certo questa mattina è decisiva perché se va male devo rimandare la tesi di una sessione.
Sono qui, davanti al professore, che rispondo alle sue domande. Le risposte mi escono meccaniche come a un computer. Lo guardo. E' meridionale. Ha gli occhiali con una grossa montatura nera e quadrata. E' moro, scuro, con grosse sopracciglia nere e una gran massa ondulata di capelli. Mi ricorda Peppino di Capri. Mi sento vuota dentro mentre aspetto il suo verdetto.
A un certo punto mi dice :
<<Va bene venticinque?>>
<<Si, si>> rispondo, io.
Lui non sa quanto è importante per me quel momento. Rimango seduta tranquilla, come se niente fosse, mentre lui scrive, ma se potessi gli salterei al collo per la felicità. Invece mi luccicano soltanto un po' gli occhi. E' risaputo da tutti che venticinque è un voto alto per lui, infatti quando apre il libretto e vede la mia media un po' scarsina noto sulla sua faccia una chiara smorfia di disgusto. Ma ormai non può più rimangiarsi la parola.
Passano i giorni e si avvicina la data fatidica della tesi. La mamma mi ha dato i soldi per comprarmi delle scarpe un po' eleganti per l'occasione. Ho pensato di mettermi una sottana. Ho recuperato dall'armadio l'unica sottana che mi va. L'ho comprata un sacco di tempo fa alla Standa, in svendita. Ha una stoffaccia schifosa, ma non vale la pena comprarne una nuova, tanto la metterò solo quel giorno. Per fortuna ho un maglione giallo che ci sta bene insieme. Il dilemma sono le scarpe, sono anni che non uso più i tacchi alti.
E' tutto pronto, la tesi è battuta, finita, rilegata. Ho comprato anche le scarpe e adesso sono proprio a posto. Quando la mia mamma le ha viste è andata su tutte le furie perché sono gialle. Quando mi sono trovata nel negozio, circondata da tutte quelle scarpe eleganti e scomode non ce l'ho fatta. E' stato più forte di me. Non mi ci vedevo proprio avviarmi verso la commissione traballante sui trampoli. Magari inciampo, proprio lì, davanti a tutti. E allora ho scelto le scarpe basse più carine che c'erano. Solo che erano gialle. Ho pensato che andavano bene col maglione.
Stamattina è il gran giorno e mi sento proprio bene. Mi sono alzata serena, ho fatto una bella colazione e sono proprio tranquilla. Mi vesto con cura e mi trucco per bene. E poi mi metto le mie fosforescenti scarpe gialle. Ironia della sorte non sono neanche tanto comode. E' venuta anche mia sorella per l'occasione. Mentre mi infilo il maglione mi accorgo che ha anche un buco piccolo di fianco, ma non posso metterne un altro, se no non va d'accordo con le scarpe.
Mi guardo allo specchio:
l'insieme è un po' insolito, ma non mi importa niente, oggi per me comincia un'altra vita. Arriviamo all'aula delle tesi e c'è una gran confusione di parenti fotografi, fiori.
Mi sembra tutto un po' troppo.
Io non ho detto a nessuno la data e l'ora della tesi perché non volevo tanti spettatori. Ma quando arrivo trovo molti amici fuori dall'aula. I miei genitori sono rimasti a casa. Finalmente entriamo e ci sediamo. Il mio relatore non c'è e c'è un’altra prof che lo sostituisce. Mi viene un accidente quando vedo che il presidente della commissione è il direttore della scuola. Quello della spiritosaggine sul grasso! Mamma mia, speriamo bene! Veramente da quella volta è sempre stato gentilissimo con me e mi salutava sempre molto compito quando mi incrociava in facoltà. Sono tanto agitata che quando chiamano il mio nome non me ne accorgo neanche. Mia sorella mi da di gomito e mi dice
<<Hei! T'hanno chiamato!>>
Mi alzo come un automa. Mi sento come se mi dovessero consegnare il premio Nobel. Mentre cammino qualcuno dal fondo dell'aula grida:
<<Forza Titti!>> come nelle partite di calcio!
Incitata dal tifo accelero l'andatura. Per fortuna non inciampo.
Sono di fronte a questa gente che ripeto la mia pappardella imparata a memoria. Alla fine i professoroni mi stringono tutti la mano e il direttore della scuola in persona elogia molto la mia tesi, dicendo che la trova particolarmente curata. Io non ci trovo niente di speciale, ma se lo dice lui! Forse fanno così con tutti, ma io sono molto contenta, anche se mi sembra tutto un po' esagerato.
All'uscita i miei amici mi danno anche un bel mazzo di fiori. Come sono gentili!
Quando esco vado a telefonare a casa. Mi risponde il mio babbo. Gli dico che è andata bene e questa volta lo sento veramente contento.
Sono soddisfatta anch'io.
Sono gli ultimi mesi di questa vita, un po' persa, un po' lenta, e un po' noiosa a volte. Gli ultimi mesi in questo quartiere grigio e in questa casa confusionaria. Forse non tornerò mai più in questa città. E' un periodo strano. La frenesia è finita, sto solo aspettando la partenza, ormai sicura. So che la mia vera vita comincerà quel giorno. Quando senza ripari e senza risparmiarmi mi butterò nel vortice! Intanto mi godo questi giorni e mi diverto. Ho ripreso in grande stile tutti i miei giri di amicizie un po' stravaganti. Probabilmente Piero ha capito che mi piace. Passiamo tante sere insieme a parlare, seduti sulle sedie di quella cucina spoglia, uno di fronte all'altro. Non so bene cosa succederà e come andrà a finire. E' un'amicizia diversa, questa dalle altre. E' un po' malinconico lui.
Sto mangiando. Sono a casa di Piero. C'è anche quello con le occhiaie e un altro. Mentre mangiamo la frittata con le patate lesse ridiamo e sto bene con loro. Sono serena. Quello con le occhiaie e quell'altro vogliono andare a sentire della gente che suona in un bar. Mentre Piero lava i piatti gli altri ci salutano ed escono. Quando ha finito di lavare i piatti si siede di fronte a me. Ma non è una sera come le altre, qualcosa è diverso. Mi prende le mani, mi guarda e poi mi bacia. Io non so cosa penso, forse è questo che ho sempre cercato.
Ma ho paura.
Mi prende per mano e con dolcezza mi conduce a una stanzetta piccola piccola con due materassi per terra e con dei sacchi a pelo. Ci sdraiamo. E' bello all'inizio come non è mai stato con nessun' altro. Poi all'improvviso non capisco più niente.
Cosa succede? Sta male?
Mi sta sopra, grugnisce, mi ansima addosso, si muove in modo scomposto, muove le gambe in su e in giù e io intanto penso :
<<Ma chi è questo qui? Cosa vuole da me?>>
Mi sembra di avere addosso un insetto schifoso, un ragno grande e nero con tante zampe, che mi ruba qualcosa, vuole qualcosa DI ME.
Lui si gode la vittoria mentre io mi sento estromessa da un gioco a cui non sono stata invitata. Si calma, ma io mi sento male.
Mi sento ingannata, come se a tradimento mi avesse carpito qualcosa.
Qualcosa di intimo e segreto, di mio.
Non è questo che mi aveva promesso col suo sorriso timido. Resto là, sdraiata, inebetita, di fianco a lui. Invece dentro di me urlo, ma inghiotto amaro e non mostro niente.
Ma come amante sei una frana, caro mio. E sei anche uno stronzo tale e quale l'iraniano.
Anzi di più!
Mentre sono li, qualcuno bussa alla porta. E' quello con le occhiaie che dice qualcosa. Poi mi guarda e mi dice :
<<Come sei sexi!>> Non so perché, ma sento che è sincero. Forse con lui sarebbe stato diverso.
Ho sbagliato tutto.
Mi sento uno schifo dentro. Uno schifo tremendo. Vorrei buttare via, eliminare quelle parti del mio corpo responsabili di tutto e tenere soltanto la mia testa. Vorrei lavarmi, lavarmi all'infinito, ma non basterebbe.
Penso, penso e sono un vulcano di emozioni. Non ce l’ho con lui, anzi mi fa pena.
E’ proprio poverino se delle donne prende solo questo. E’ così poco!
Di sicuro non è sempre così. Con me ha preso solo questo, perché il resto di me non gli interessa. Mi viene una gran rabbia.
Io, io mi faccio rabbia! Sono io che sono stronza. Mi vendo sempre per troppo poco, un sorriso, una illusione. Ma d’ora in poi, basta! Non sarò più perennemente in saldo. Costerò cara, molto cara, anche se ho la pancia, gli occhi bovini e i piedi piatti. A costo di riempirmi di polvere negli scaffali. Sono ancora lì che macino quando, dopo un po’ per fortuna, arriva il sonno che mi salva.
Le ragazze che abitano con me stanno tutte cercando una sistemazione per il prossimo inverno. Bianca probabilmente andrà ad abitare con il moroso. Roberta e Maria ancora non sanno cosa faranno. Comunque ormai siamo agli sgoccioli ed il trentuno di luglio dovremo definitivamente sgomberare. Io sono tranquilla adesso la più tranquilla di tutte. Ovvio. La messa peggio di tutte è Nicoletta. Non sa dove andare, vorrebbe andare ad abitare con Pizza, ma non sa quando, né dove, né come. L’altro giorno ha avuto un’idea proprio brillante per risolvere il suo problema abitativo. Ha pensato di restare qui insieme a Pizza ed occupare questo appartamento. Io non c’ho dato molto peso lì per lì, perché mi sembrava un’idea proprio fuori di testa. Ma da quel giorno lo ripete continuamente e si è proprio fissata su sta roba. Invano tutte abbiamo tentato di farle capire che durerebbe un pomeriggio a dir tanto. Me li immagino proprio due tipi così, lei e Pizza, che si barricano qui dentro, senza acqua, né luce! Carabinieri e Polizia, giù nella strada col megafono, che gli ordinano di uscire con le mani in alto.
Ridicolo!
Al mio babbo non gli ho detto niente se no gli viene un accidente.
Passano i giorni, il trentuno luglio si avvicina e Nicoletta è decisa ad occupare questo appartamento. La sua sarebbe un’azione politica e dimostrativa contro il caro-affitti. Secondo lei (loro?) dopo il comune sarebbe costretto a trovarle una casa. Figuriamoci!
Se fosse così semplice lo farebbero tutti. Sospetto che Pizza soffi sul fuoco. A me dispiace per lei, ma d’altra parte non vorrei che venissero fuori delle rogne per il mio babbo.
Oggi pomeriggio sono andata con lei al sindacato inquilini per vedere se ci aiutavano a trovare una soluzione che vada bene per loro due, ma non danneggi il mio babbo. Abbiamo parlato con un tipo che non ha capito niente di niente. Gli ho spiegato la nostra situazione. Gli ho anche detto che il proprietario dell’appartamento era il mio babbo. Non l’avessi mai fatto! Istantaneamente l’ha identificato come "L’ACERRIMO NEMICO" e ha incitato Nicoletta ad andare avanti con i suoi propositi scellerati e campati per aria. Non c’è stato niente da fare.
Alceste ormai era bollato, messo al bando. Dagli all’untore!
Nicoletta è rimasta allibita e non ha spiaccicato una parola.
Ma quella che più mi ha fatto rabbia sono stata io, che quando sono uscita ho fatto anche una piccola offerta al sindacato (forse per farmi perdonare di essere ricca) mentre invece avrei avuto voglia di sputargli negli occhi.
6
In questi giorni abbiamo spesso delle visite di persone che vengono a vedere l’appartamento per comprarlo. Non ci capisco niente, perché il mio babbo l’ha già venduto a qualcuno. Forse questo qui lo vuol subito rivendere. Boh! In casa c’è più confusione del solito perché Maria deve studiare l’anatomia del bovino e così siamo andate in una macelleria a farci dare le ossa di mucca. Per pulirle dalla carne abbiamo dovuto farle bollire con la soda caustica per tre ore. Questa operazione ha appestato di una puzza orribile tutta la casa e tutti i nostri vestiti ormai sanno di carne fradicia. In giro per la strada ci prenderanno per dei becchini. Le reazioni dei nostri visitatori quando vedono queste ossa cubitali sui fornelli sono molto variopinte. Fanno dei commenti veramente cretini, a volte. Uno ci ha chiesto se stavamo preparando il brodo. Il brodo? Come si fa a fare il brodo con un femore di mucca? Come fare il brodo con le ossa di elefante! Comunque di buono c’è che da quando c’è sta puzza le visite sono diventate straordinariamente veloci. Fanno un giro frettoloso delle quattro stanze ed escono. Girano sempre con i fazzoletti sulla bocca e se qualche volta la visita si prolunga, dopo un po’ le mogli, sempre un po’ delicate di stomaco, cominciano a fare dei gran versacci attutiti dal fazzoletto sulla bocca. A quel punto gli viene una gran fretta e prendono subito la porta. Io dico che sarà difficile che lo venda.
L’altra sera poi è successa una cosa terribile. Abbiamo messo il pentolino con l’osso sul davanzale della finestra a raffreddare e siccome il pentolino era stretto e l’osso molto più alto si è rovesciato e tutta l’acqua sporca di grasso è caduta sul terrazzino di quell’oca di sotto, che ci dà anche la cera sul terrazzo. Maria ha detto che c’era poca acqua dentro.
<<Vedrai non se ne accorgono neanche.>>
Non ero della stessa opinione.
Infatti la mattina dopo, che era domenica, alle otto e mezza ha suonato il campanello. Ho aperto la porta e c’era l’orco, il marito dell’oca, che non riusciva neanche a parlare da quanto era paonazzo, emetteva solo dei rochi versi gutturali, molto minacciosi. L’ho calmato dicendo che avremmo pulito tutto noi. Ci siamo armate di detersivi e ramazze e secchi e siamo partite coraggiose. In effetti il terrazzino era in condizioni pietose. Il pavimento era coperto da uno strato di grasso alto due centimetri e c’era anche l’impronta della ciabattina di feltro del primo passo mattutino dell’oca.
Sembrava l’orma del primo uomo sulla luna.
Anche il muro era tutto sporco di unto e si vedeva benissimo che veniva dalla nostra finestra. Abbiamo fatto tutta la mattina stile cenerentola, una bella sfacchinata! Certe cose, però tipo il muro e le imposte, sono rimaste macchiate dalla soda che aveva corroso il colore. Nel frattempo era arrivata la Bianca, che ci prendeva in giro guardandoci dalla finestra della cucina. Ci indicava dal di sopra dove c’erano dei resti di grasso rimasti negli angoli e rideva. Però non è mica venuta a darci una mano.
In questi giorni Maria sfoggia un completino nuovo.
Sta proprio bene. Mi piace guardarla. Ha un bel culo e delle belle gambe. Tutto il contrario di me, che invece sembro sempre Maciste. II completino è una tutina pantaloni con una maglietta. I colori sono un po’ troppo fosforescenti per i miei gusti. La tuta è giallo canarino e la maglietta viola un po’ lucida. Sarà perché a me meno mi vedono e meglio sto, ma è proprio come un semaforo con quella roba addosso. Voglio molto bene a Maria. Ha un anno meno di me. Sono due anni che abita qui. Siamo diventate amiche inseparabili quasi subito. E’ buffa, un po’ bambina a volte, ma mi diverto molto con lei. Va a lezione ogni giorno, è molto diligente nello studio. Non come me. Prima di finire la scuola, quando ancora ero studente, io spesso studiavo a casa e ci davamo appuntamento in Piazza Verdi per andare alla mensa insieme. Il nostro sport preferito era fare delle chiacchiere. Siamo delle gran criticone e non si salva mai nessuno dai nostri colpi. Ogni tanto si portava dietro le carte e faceva una lettura estemporanea del futuro agli amici incontrati lì sul momento.
Sta arrivando l’estate.
Che bello! Parto a metà agosto, non vedo l’ora!
Ieri pomeriggio Bianca aveva un giornale femminile che dava buoni consigli per prepararsi all’estate! Sempre stesse cose: mangiare molta verdura, molta frutta, bla-bla-bla. Però c’era un bel test per scoprire chi ha le tette perfette. Bisognava mettere una matita o una penna sotto le tette. Se cade sei a posto perché la tetta è perfetta, se invece resta intrappolata vuol dire che la tetta è pendula e quindi mal te ne incolga.
Abbiamo provato tutte. Maria e Bianca OK (buon per loro). Quando ha provato Nicoletta era convintissima di aver le tette a prova di matita e invece ha dovuto prendere atto, suo malgrado, che un minimo di intrappolamento c’era perché (ORRORE!!) la matita non è caduta. C’è rimasta un po' male. Ma poi si è tirata su di morale perché era il mio turno.
Le mie tette non solo intrappolavano la matita. Addirittura spariva la matita.
Allora abbiamo cominciato ad aggiungere matite. Siamo arrivate a 14 da una parte e 14 dall’altra. Nicoletta si è tirata su il morale, il mio invece è sprofondato, ma ho fatto finta di niente.
Non mi piace farmi compatire.
E’ un pò di giorni che Maria è diversa dal solito e non so cos’ha. Oggi pomeriggio, poi, è particolarmente taciturna e triste. Gira per casa col muso lungo e non è bella per niente.
Mi fa pena.
<<Cos’hai che non va?>>
<<Non mi caghi più!>>
Casco dalle nuvole!
<<Come, perché, non è vero!>>
<<Si, è vero. Prima facevamo tutto insieme. Poi di colpo, più niente!>>
Finisco di lavare i piatti e le dico :
<<Vado un po’ a letto, vieni anche tu?>>
<<Si, arrivo>>
<<Ma perché dici così. Non è vero niente. Per me non è cambiato niente, è tutto come prima.>>
<<No, non è come prima. La sera esci e non dici dove vai. Fai tutto da sola e sono mesi che non usciamo più insieme >>
<<Si, forse è vero, ma io non me ne sono accorta. E’ venuto così, senza volere. Ma io non ti voglio meno bene. Non me ne sono accorta e ti giuro che non l’ho fatto apposta. Non posso più vederti così, perdonami se ti ho abbandonato, non volevo farti star male. Davvero!>>
<<Si, ci credo che non l’hai fatto apposta. Ma io ci sono stata male sul serio. Mi sono sentita abbandonata di colpo senza capire perché.>>
Si alza va in bagno. Io rimango lì, ancora sdraiata, a pensare. Ci penso e mi rendo conto che ha ragione. E’ vero, negli ultimi tempi sono uscita sempre con Giulio. E’ più grande di me. Con lui non rischio niente perché è fidanzato da tempo e non corro pericoli. Mi sento al sicuro da eventuali e spiacevoli imprevisti. Giravamo sempre insieme tutta la notte o quasi per le osterie come due vecchi camerati, fino a notte fonda. E’ stato bello, ma ormai sta per finire.
E’ strano, sono molto stupita. Come ho fatto a essere così orba, a non rendermi conto prima che questa gente mi vuol bene sul serio e io qualcosa conto, almeno per loro! Non me ne sono mai accorta prima. Non avevo mai capito prima di essere così importante per i miei amici! Forse perché mi sembrano tutti messi meglio di me, accoppiati, fidanzati, bravi a scuola o belli. Forse perché mi sento proprio completamente inutile non avevo mai capito di avere un posto importante nelle loro vite. Voglio partire con tutte le mie forze, ma non è facile perché sento che questa partenza è senza ritorno e sto per lasciare qualcosa che non tornerà mai più.
Non sarà mai più così, in una casa così, con questa gente un po’ fuori. Sto per lasciare per sempre questa vita con poche pretese, ma anche con poche responsabilità. E’ la fine di qualcosa. Ma prima o poi deve arrivare. E’ un passaggio obbligato, inevitabile, si sa, ma non per questo meno amaro.
Forse è crescere?
Ma io DEVO partire.
Cercare, sperimentare, saltare senza rete. Voglio uscire da questa situazione troppo protetta, ma anche per questo troppo stretta. Devo vedere chi sono veramente io fuori da queste quattro mura scrostate, da questa città, da tutto quello che ho conosciuto fino adesso. Finalmente piango!
Sdraiata sul letto mi scivolano lungo le guance poche grandi lacrime, calde e silenziose e lentamente vanno a finire sul cuscino. Piango per me, per Maria e per quelli come lei che mi vogliono bene e per questa partenza tanto sognata, aspettata e così tanto vicina ormai. Mi alzo. Vado da Maria e la abbraccio forte senza parlare.
Perché dev’essere tutto così difficile? Perché devono star male per colpa mia?
Ieri ho saputo che c’è un tizio di Rimini che è stato parecchio tempo in Bolivia. Uno di questi giorni che sono a casa lo chiamo e gli chiedo qualche informazione sul paese.
Stanotte ho sognato. Ho fatto un bel sogno liberatorio. Ho sognato che ero in mezzo a tanta gente. Tutti mi salutavano e mi dicevano qualcosa. Ma io ero distratta. Cercavo una persona in mezzo a tutta quella confusione. Sapevo che c’era e la cercavo in mezzo a tutti con lo sguardo. Dopo un po’ l’ho vista che parlava con persone alte magre e importanti. Mi sono avvicinata a lei quatta quatta, meditando la mia inesorabile vendetta. L’ho raggiunta, la mia vittima ignara ma non innocente. Era bella con capelli lunghi, voluminosi e biondi. Si è girata verso di me con il suo solito sorriso sprezzante e il suo sguardo profondo carico di disapprovazione. E’ bastato il suo ciao per scatenare la mia furia, repressa da anni.
Le ho vomitato addosso in pochi secondi tutto il mio odio, il mio rancore ingigantito nelle notti passate ad occhi sbarrati. Una valanga di parole e frasi ormai imparate a memoria stampate in testa.
Il suo sorriso a poco a poco si spegneva, mentre il suo viso si segnava di rughe profonde trasformandosi in una maschera grigia di disperazione.
Tutto è finito in poco tempo e io me ne sono andata lasciandola là, disfatta. La folla mi ha inghiottito velocemente, trasportandomi lontano. Mi sono svegliata con una sensazione di libertà e leggerezza. Stavo incredibilmente bene. La mia vendetta era compiuta. Almeno in sogno!
Ah... che benessere!
Ieri ero a casa dai miei e ho telefonato al tizio che è stato in Bolivia.
Era meglio se non telefonavo. Mi ha detto che lavorava all’università di La Paz. Forse è stato imprudente o chissà cosa, insomma dopo un po’ di mesi che era lì l’hanno messo in galera. La sua famiglia qui in Italia non ha avuto sue notizie per mesi e mesi e alla fine è intervenuto il Ministero degli Esteri e il Presidente Pertini e finalmente è tornato a casa.
<<Son tornato a casa con le mie gambe però non avevo più una costola intera.>>
Ho chiuso il telefono e ho inghiottito.
Il mio babbo dalla cucina mi ha chiesto:
<<Allora cosa ha detto? Si è divertito? Un bel paese?>>
<<Si, si molto. E’ stato molto contento. Un paese molto interessante!>>
Per fortuna c’ha creduto subito ed è finita così. Non so se avrei retto la commedia per molto.
Tutto ormai è pronto. Anche io. Le mie amiche hanno trovato tutte una sistemazione. Anche Nicoletta. Ha trovato un piccolo appartamento in affitto da dividere con Pizza. Tutto è bene ciò che finisce bene. La pace sia con noi. Ma io lo sapevo che non mi avrebbe fatto veramente del male. Non ci ho mai creduto fino in fondo. Resta solo da decidere cosa faremo dei pochi mobili buoni che ci sono. Il frigo lo prende Bianca. La tavola tonda la prende Nicoletta. Chissà che fine farà la credenza verde bandiera con l’oblò? La gloriosa 600 l’ho restituita senza rimpianti al suo legittimo proprietario. Stiamo imballando ogni cosa in scatoloni e smobilitando tutto.
Quanto ciarpame e quante scarpe, solo Maria da sola ne ha trentatre paia. E’ una settimana che lavoriamo incessantemente senza sosta. Fa un po’ tristezza questa casa mezza vuota e sembra ancora più squallida e bruttina del solito. Con oggi però dovremmo finire tutto. Sono stanca, ma serena. C’è un clima di addio tranquillo fra di noi. E’ l’una e per l’ultima volta ci sediamo ancora intorno alla tavola rossa di formica con le sedie coordinate, ormai tutte senza spalliera. Ridiamo siamo contente e ci scattiamo qualche foto ricordo di quell’ultimo pranzo insieme.
Siamo in tre, io, Maria e Nicoletta e ci accorgiamo che non abbiamo quasi niente da mangiare. Nella foga dei lavori nessuna di noi ha pensato al rancio. Dividiamo un po’ di prosciutto crudo e il melone di Nicoletta. A me il melone non è mai piaciuto, mi da fastidio perfino il profumo. L'ho sempre reputato troppo intenso. Ma, costretta dalla necessità, faccio buon viso a cattiva sorte. Mangiamo e scopro che è buono il melone, buonissimo.
Come ho fatto a non accorgermene prima?
Sono quasi le dieci di sera e siamo ancora qui sulla tangenziale. Maria dopo mangiato è andata via e sono sola con Nicoletta. Questo, per fortuna, è l’ultimo viaggio di una lunga serie. E’ tutto il pomeriggio che facciamo la spola tra casa nostra e il suo nuovo nido d’amore. Su e giù per tre piani di scale con i pacchi e gli scatoloni delle sue cose.
Anche lei ne aveva però di ciarpame!
Sono esausta e non si arriva mai. Guido la possente R4 rossa di Pizza. La macchina è piena da scoppiare con il culo che tocca quasi per terra. Sono stanca morta che tiro gli occhi per bucare l’oscurità appena appena rischiarata dai fari fiochi di questa vecchia carcassa. Lei è seduta di fianco a me, sfinita anche lei. Stiamo zitte. Anche per lei finisce qualcosa di bello e comincia qualcosa di totalmente nuovo.
In effetti, a pensarci bene, praticamente si sposa. Per me personalmente l’idea sarebbe terrificante.
Molto meglio la Bolivia!
Portiamo di sopra le ultime cose e sulla porta della sua nuova casa ci salutiamo. Ci abbracciamo, senza lacrime questa volta e senza tante parole. Le parole restano là sospese per aria, non dette. Riusciamo solo a prometterci delle lettere.
<<Ciao, ciao stammi bene, mi raccomando. Riguardati e scrivi.>>
<<Sì, si scriverò non preoccuparti.>>
So che lei e Maria saranno, comunque, sempre con me. Aspetterò le loro lettere, che arriveranno puntuali e mi faranno compagnia in quel posto.
Tomo a casa. La casa è vuota, ci sono ancora i letti e domani verrà un camion per portare via le mie ultime cianfrusaglie. Sono rimaste soltanto le cartoline che Maria aveva appiccicato alla tappezzeria della nostra camera.
E’ tutto finito.
Gli ultimi dieci giorni italiani li passerò a casa coi miei e li userò per salutare i pochi amici che ho là.
Salgo le scale e varco per l’ultima volta la soglia di quella che per quattro anni è stata casa mia e la porta della mia camera.
Alla fine, stravolta, arrivo al letto e ci piombo sopra a capofitto.
Non voglio pensare a niente o forse è meglio non pensare a niente.
Sprofondo di colpo nel mio ultimo sonno bolognese, senza sogni.